L'opera Sibille e Profeti e il restauro
Scopriamo la storia dell’opera di Raffaello
Il mecenate e il genio alla corte dei Papi
La vicenda che intreccia la storia di Chigi a quella di Raffaello è una storia di committenza e di amicizia. Agostino Chigi, originario di Siena, è il banchiere più importante d'Europa, tesoriere della Camera Apostolica e sorta di “ministro della cultura laica” a Roma; sceglie di affidare la decorazione della cappella a quello che ritiene essere il più talentuoso artista vivente, ossia Raffaello. È il 1514 e l'artista si trova a Roma già dal 1508, per lavorare alla commessa delle Sale Vaticane e poi alla ricostruzione di San Pietro. Sin dagli inizi dei lavori, entra immediatamente nelle grazie di papa Giulio II, che si mostra entusiasta dei suoi dipinti. L'impegno di Raffaello per il pontefice è pressoché totale ma Chigi non è una figura qualunque. Amico intimo di Giulio II e poi di Leone X, gode di un ruolo unico all'interno della società del tempo. Oltre a essere l'uomo più ricco d'Europa e ad aver finanziato le guerre del papato, è un mecenate illuminato che crede profondamente nella cultura come strumento primario di progresso e di glorificazione di sé. Grazie al suo smisurato potere, riesce a ottenere dal papa la possibilità che Raffaello lavori per lui, sebbene solo in alcuni specifici momenti. Chigi vanta commissioni ai maggiori artisti del tempo, ma vuole a tutti i costi i servigi di Raffaello, perché sa che solo la firma del genio di Urbino gli garantirà una fama imperitura. Affida così la decorazione della cappella di famiglia presso la Basilica di Santa Maria della Pace all'artista, che realizza uno dei suoi capolavori della maturità.
©Foto di Andrea Jemolo